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Io sono straniera
“C’è
sulla carta un posto” .
La poesia di Marina Cvetaeva
(a cura di Poetica)
Venerdì
15
ore 15.30-16.30
Palazzo delle Poste (Piazza Viviani)
Un Ostello
della Gioventù, un Ufficio Postale, un Ufficio Anagrafe : luoghi
‘comuni’.a tutte le città : lì andiamo per una
sosta durante un viaggio, per spedire lettere, compilare bollettini, lì
andiamo a chiedere chi siamo. Sono luoghi da cui usciamo frettolosi con
un’identità in tasca.
Perché scegliere questi luoghi per un incontro di poesia e musica?
Perché sono molto poetici e molto impoetici insieme e sono simbolici
del nostro spaesamento, del nostro eterno errare, da un paese all’altro,
sì, ma anche dentro e fuori la nostra stessa città, la nostra
stessa casa. Forse dentro e fuori di noi.
Ce ne rendiamo conto seguendo i percorsi di tre poetesse del novecento.
Il titolo del ciclo “Io sono straniera” è il primo
verso di una poesia di Gertrud Kolmar, poetessa tedesca del primo novecento.
Con questo incipit Gertrud Kolmar dichiarava senza mezzi termini la sua
estraneità allo spirito e agli avvenimenti del suo tempo (siamo
in Germania all’inizio degli anni ‘40 ) e contemporaneamente
mostrava che il suo linguaggio poetico e femminile era come un’altra
lingua, un’altra via, un tocco di grazia.
“Vieni, amico, e mangia./”.
Per lei, ebrea tedesca, vivere in Germania era una eclatante condanna.
Le sue poesie e le sue lettere descrivono città, case, stanze,
strade, luoghi quotidiani in cui lei si muove attenta e straniera. “
La città per me è un vino colorato/ in un levigato calice
di pietra…/”
Identità smarrita, dura da ritrovare, estraneità al mondo
che colpisce o tiene a distanza.
Molta poesia femminile del novecento è immersa in questa condizione
di separatezza. Eppure proprio a partire dalla coscienza di questa separatezza
, proprio stando radicate sul fondo di questa estraneità le poetesse
del secolo scorso hanno scritto versi indimenticabili.
Una separatezza comune : e viene in mente Virginia Woolf che in “Le
tre ghinee” pensa di fondare una “Società delle estranee”,
‘Estranea’ si sente Marina Cvetaeva, poetessa russa, anche
lei del primo novecento. Ed estraniata deve aver vissuto trascorrendo
le notti a scrivere ai grandi e lontani scrittori del suo tempo, come
Rilke e Pasternak . A loro scriveva “ Io sono sempre stata scelta
dalle mie opere per la mia forza, e spesso le ho scritte quasi controvoglia..”
E certamente ‘estranea’ appariva agli occhi dei suoi contemporeanei,
Amelia Rosselli, figlia di Carlo, uno dei due fratelli Rosselli, storiche
figure della Resistenza.
“ Una specie di apolide” dicevano di lei, vissuta tra Francia,
Italia, Inghilterra, e Stati Uniti questa poetessa morta a Roma nel 1996
scriveva in una lingua strana, piena di lapsus, fulminanti imprecisioni
sintattiche, una lingua che non dimenticava mai fino in fondo le altre
lingue, anzi, le sposava in una sorta di esperanto emotivo che io amo
definire ‘la lingua che si spera’ “Contro dell’odio
ringraziavo e perdonavo/…contro delle lacrime furtive innalzavo
la veracità”
in libreria
Marina Cvetaeva “ Dopo la Russia” Edizioni Adelphi 1984
Gertrud Kolmar “ Il canto del gallo nero” Essedue Edizioni
1990
Amelia Rosselli “Poesie” Garzanti coll. Gli Elefanti 1997
della curatrice Ida Travi “ Diotima e la suonatrice di flauto
La Tartaruga edizioni Baldini Castoldi Dalai
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