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Io sono straniera
(a cura di Ida Travi per Poetica)
La lingua che si spera.
La poesia di Amelia Rosselli

Giovedì 14
ore 15.30-16.30

Ingresso Ufficio Anagrafe


Un Ostello della Gioventù, un Ufficio Postale, un Ufficio Anagrafe : luoghi ‘comuni’.a tutte le città : lì andiamo per una sosta durante un viaggio, per spedire lettere, compilare bollettini, lì andiamo a chiedere chi siamo. Sono luoghi da cui usciamo frettolosi con un’identità in tasca.

Perché scegliere questi luoghi per un incontro di poesia e musica? Perché sono molto poetici e molto impoetici insieme e sono simbolici del nostro spaesamento, del nostro eterno errare, da un paese all’altro, sì, ma anche dentro e fuori la nostra stessa città, la nostra stessa casa. Forse dentro e fuori di noi.

Ce ne rendiamo conto seguendo i percorsi di tre poetesse del novecento.

Il titolo del ciclo “Io sono straniera” è il primo verso di una poesia di Gertrud Kolmar, poetessa tedesca del primo novecento. Con questo incipit Gertrud Kolmar dichiarava senza mezzi termini la sua estraneità allo spirito e agli avvenimenti del suo tempo (siamo in Germania all’inizio degli anni ‘40 ) e contemporaneamente mostrava che il suo linguaggio poetico e femminile era come un’altra lingua, un’altra via, un tocco di grazia.

“Vieni, amico, e mangia./”.
Per lei, ebrea tedesca, vivere in Germania era una eclatante condanna.
Le sue poesie e le sue lettere descrivono città, case, stanze, strade, luoghi quotidiani in cui lei si muove attenta e straniera. “ La città per me è un vino colorato/ in un levigato calice di pietra…/”
Identità smarrita, dura da ritrovare, estraneità al mondo che colpisce o tiene a distanza.

Molta poesia femminile del novecento è immersa in questa condizione di separatezza. Eppure proprio a partire dalla coscienza di questa separatezza , proprio stando radicate sul fondo di questa estraneità le poetesse del secolo scorso hanno scritto versi indimenticabili.

Una separatezza comune : e viene in mente Virginia Woolf che in “Le tre ghinee” pensa di fondare una “Società delle estranee”, ‘Estranea’ si sente Marina Cvetaeva, poetessa russa, anche lei del primo novecento. Ed estraniata deve aver vissuto trascorrendo le notti a scrivere ai grandi e lontani scrittori del suo tempo, come Rilke e Pasternak . A loro scriveva “ Io sono sempre stata scelta dalle mie opere per la mia forza, e spesso le ho scritte quasi controvoglia..”
E certamente ‘estranea’ appariva agli occhi dei suoi contemporeanei, Amelia Rosselli, figlia di Carlo, uno dei due fratelli Rosselli, storiche figure della Resistenza.

“ Una specie di apolide” dicevano di lei, vissuta tra Francia, Italia, Inghilterra, e Stati Uniti questa poetessa morta a Roma nel 1996 scriveva in una lingua strana, piena di lapsus, fulminanti imprecisioni sintattiche, una lingua che non dimenticava mai fino in fondo le altre lingue, anzi, le sposava in una sorta di esperanto emotivo che io amo definire ‘la lingua che si spera’ “Contro dell’odio ringraziavo e perdonavo/…contro delle lacrime furtive innalzavo la veracità”

in libreria
Marina Cvetaeva “ Dopo la Russia” Edizioni Adelphi 1984
Gertrud Kolmar “ Il canto del gallo nero” Essedue Edizioni 1990
Amelia Rosselli “Poesie” Garzanti coll. Gli Elefanti 1997
della curatrice Ida Travi “ Diotima e la suonatrice di flauto
La Tartaruga edizioni Baldini Castoldi Dalai